PETROLIO: CRISI EPOCALE?

Prezzi alle stelle, produzione insufficiente, ma è una crisi transitoria o la fine di un'era?



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Pagina pubblicata l'8 agosto 2004

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Il prezzo del petrolio alle stelle

In questi primi giorni di agosto del 2004, mentre si completano le partenze degli italiani per le vacanze, il mondo è scosso non tanto dalle solite notizie di guerra e terrorismo - in fondo siamo abituati ai morti quotidiani in Iraq e Palestina, sugli altri in genere ci viene risparmiata l'informazione - ma soprattutto dallo smisurato incremento del prezzo del petrolio, che ormai è sulla soglia dei 45 dollari al barile, nonostante l'Opec abbia portato alla sua produzione al livello record di tutti i tempi. La ripresa economica mondiale è minacciata, il mercato sembra sfuggito ad ogni controllo. Il problema è molto grave e richiede un'esame attento, più ancora di quanto non sembri a prima vista.

I media ci assillano con la questione del prezzo della benzina, mostrando una profondità di visione uguale o inferiore a quella del frequentatore medio dei bar dell'angolo. Potremmo sussurrare che, tanto per cominciare, ormai occorrerebbe parlare di prezzo del gasolio, perché in Italia si vendono quasi soltanto vetture Diesel... Ma il punto non è questo. Cerchiamo di capirci qualcosa di più.

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L'analisi convenzionale

Per comprendere la situazione del mercato petrolifero mi sembra giusto cominciare da un'analisi economica convenzionale, come quella fatta dal prof. Deaglio nell'articolo di giovedì 5 agosto su La Stampa.

Se i prezzi salgono, vuol dire che la domanda eccede l'offerta, dicono i principi elementari del mercato. La domanda sta crescendo per un motivo ben preciso prevalente su tutti: l'Asia meridionale e orientale, e soprattutto la Cina, stanno aumentando in modo straordinario i loro consumi di tutte le materie prime e di energia, quindi anche di petrolio. Prestiamo attenzione: la Cina oggi consuma la metà del cemento del mondo, un terzo del ferro, ed è diventata il secondo consumatore mondiale assoluto di petrolio e derivati. Considerando i tassi di crescita attuali, in pochi anni sarà la prima consumatrice di petrolio, e la sua economia supererà anche quella degli Stati Uniti d'America.

Questo non è un fattore contingente: nessuno pensa che la crescita asiatica, soprattutto quella cinese, si possa fermare tanto facilmente. Si è presentato sulla scena mondiale un nuovo protagonista che sarà difficile, probabilmente impossibile scacciare.

L'offerta frattanto è andata in crisi. C'è un fattore a breve: il colossale errore di calcolo politico e militare commesso dagli USA in Iraq. Il potenziale secondo produttore mondiale di petrolio è quasi inattivo, perché gli Stati Uniti sono riusciti ad invaderlo ma non a prenderne il controllo. Al di là di qualsiasi considerazione morale, che ho fatto in altre occasioni, qui si tratta in primo luogo di un enorme sbaglio. L'idea di conquistare l'Iraq faceva parte di una linea strategica razionale, che andremo a discutere più avanti, ma i fatti hanno dimostrato che Stati Uniti oggi hanno la capacità di vincere una guerra in breve tempo, ma non di controllare il territorio del paese sconfitto, per il banale motivo che per controllare un territorio ostile anche oggi, nel XXI secolo, occorrono le vecchie, povere truppe di terra armate di fucile e lanciagranate, e non portaerei nucleari, bombardieri invisibili e missili da crociera. E magari anche un servizio segreto efficiente, che si basi sui buoni vecchi analisti esperti del paese nonché agenti e informatori dislocati sul territorio, e non soltanto su foto da satellite ed esuli tanto accomodanti quanto truffaldini, come il famigerato iracheno Chalabi, della cui inaffidabilità si sono accorti da troppo poco tempo.

A questo si è aggiunta la crisi della società russa Yukos, il cui scontro con le istituzioni di Mosca ha raggiunto il massimo dell'intensità, con l'imposizione dell'amministrazione controllata. Si tratta chiaramente di uno scontro politico, tra dirigenti pronti a fare affari in contrasto con gli interessi dello Stato e un governo ormai sempre più autoritario ed orientato a ricostruire la Russia come potenza, quindi necessariamente nemico di una società privata troppo autonoma.

Il terzo punto critico dal lato dell'offerta, il più grave, è che gli altri produttori sono già al massimo o quasi della loro capacità. In questi anni le ricerche di giacimenti e le realizzazioni di nuovi impianti estrattivi hanno proceduto con grande lentezza, in presenza di una domanda fiacca. Oggi tutte le attività industriali che richiedono tempi lunghi per la predisposizione degli impianti sono in crisi, perché la finanza mondiale premia tutto ciò che rende a brevissimo periodo, quindi nessuno investe a lungo termine in sistemi ed impianti che richiedono grande impiego di capitale con ritorni decennali. Così accade che restiamo senza petrolio, senza energia elettrica, senza acciaio...

Quest'analisi è sufficiente per farci capire che non si tratta di spendere qualche centesimo in più al litro per il gasolio della nostra auto diesel in attesa che il prezzo torni a scendere. Occorrono azioni strutturali sul mercato perché la situazione cambi stabilmente. Ma è tutto qui?

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L'economia dominata dalla finanza e il distacco dalla realtà

Prima di affrontare il tema centrale dell'articolo, è ancora necessario un approfondimento su uno dei motivi della scarsità di offerta di petrolio.

Oggi l'economia mondiale è controllata totalmente dal sistema finanziario, e non più dagli imprenditori. Immensi capitali si spostano letteralmente alla velocità della luce, grazie ai sistemi telematici, alla ricerca della massima redditività a breve e brevissimo periodo. Le borse stanno passando sempre più ad una gestione parzialmente o totalmente automatizzata, non solo delle operazioni in senso stretto ma anche delle decisioni quotidiane di acquisto e vendita. In questa situazione, tutto ciò che richiede pianificazione a lungo termine e paziente costruzione di organizzazioni, strutture, impianti produttivi diviene un impaccio.

Stiamo assistendo al disfacimento dei vecchi gruppi industriali, non importa se pubblici o privati, gestito sulla base del puro e semplice guadagno finanziario. Il valore delle azioni di un gruppo industriale non tiene in nessun conto il loro contenuto materiale, il valore intrinseco legato al fatto di rappresentare quote di proprietà di strutture e mezzi produttivi, ma soltanto fattori a brevissimo termine, in pratica riconducibili alla probabilità di plusvalenza nel breve periodo. Questo mercato finanziario globalizzato è una struttura folle che ha perso ogni contatto con la realtà ed agisce come un elemento impazzito, come un uragano o un'alluvione che imperversa sul mondo produttivo seminando morte e distruzione. Questa situazione è giustificata per mezzo dell'ideologia del libero mercato, che ormai è vuota di ogni contenuto, essendo venute meno tutte le sue premesse, ammesso che mai abbiano avuto valore. La prima e fondamentale premessa di tutte le teorie economiche è che gli operatori finanziari siano razionali, con il che si intende che siano orientati a perseguire il guadagno e non la perdita attraverso scelte logiche. Peccato che la ragione sia tale quando tiene conto di tutti i fattori. Gli operatori di oggi per lo più guardano a indicatori istantanei e si servono di regole sempre più avulse dall'aspetto materiale dell'economia. Il primo principio dell'economia di oggi è che gli operatori non conoscono la realtà materiale del mondo, né se ne preoccupano minimamente. Quindi sono totalmente irrazionali.

Soltanto l'esistenza di elementi di tipo diverso, come le vecchie famiglie industriali, compensa in alcuni casi questa situazione. Si tratta però di lotte di retroguardia, con scarse probabilità di successo. Consideriamo il caso della Fiat: all'ultimo istante la famiglia Agnelli, segnata dalle tragedie personali dei suoi membri più in vista, ha tentato di salvare l'azienda affidandola ad un uomo di grande notorietà e prestigio. La logica seguita non è affatto quella imperversante, del mercato finanziario impazzito, ma quella tradizionale per cui una grande azienda è un valore in sé che vale la pena di conservare, anche a costo di sacrifici economici e umani notevoli. Dal punto di vista della presunta razionalità del mercato, sarebbe il caso di svendere tutto finché vale ancora qualcosa; la logica antiquata della proprietà invece cerca di rimettere in piedi la struttura produttiva ancora in crisi. Ha senso? Non sappiamo ora se il tentativo riuscirà, ma di senso ne ha parecchio. Perché l'industria automobilistica è un settore di grande complessità, dove un'azienda non si può creare dal nulla in poco tempo. Ci sono strutture produttive complesse e costose che richiedono grandi investimenti nell'arco di tempi lunghi, e soprattutto c'è il capitale umano, un patrimonio di competenze tecniche ed organizzative difficile da ricostruire se andasse completamente perduto.Questi temi sono stati efficacemente affrontati dal sociologo Luciano Gallino nel suo libretto La scomparsa dell'Italia industriale, pubblicato l'anno scorso da Einaudi.

Se analizziamo bene il comportamento dei governi dei Paesi più importanti, non possiamo fare a meno di accorgerci che i principi del libero mercato tanto sbandierati sono spesso traditi proprio dai loro più accaniti sostenitori. E' stato l'ultraliberista Bush quello che non ha esitato ad imporre dazi sull'acciaio importato per proteggere la siderurgia americana in crisi, scatenando uno scontro con l'UE presso l'Organizzazione Mondiale del Commercio (il famigerato WTO).

Ma come spesso accade a forza di sostenere un'ideologia si finisce per crederci. I petrolieri, che tanto potere hanno nel mondo, hanno trascurato di investire in nuovi impianti estrattivi e oleodotti. O no? Si può dire senz'altro che si sono orientati all'accaparramento dell'esistente anziché alla ricerca del nuovo.

Non si può fare a meno di notare, infatti, che i petrolieri americani hanno passato gli anni a tramare contro tutti coloro che minacciavano il loro quasi totale monopolio mondiale. I disastri politici e militari di Afghanistan e Iraq nascono da tentativi di estromettere e aggirare paesi considerati nemici come l'Iran o solo parzialmente amici come la Russia. Ad esempio, da decenni si cerca di far passare un oleodotto in Afghanistan per collegare i giacimenti dell'Asia centrale ex sovietica con i porti del Pakistan, evitando il percorso naturale che coinvolgerebbe l'Iran. Peccato che nessuno sia mai riuscito ad ottenere il controllo del territorio afghano, sebbene ci abbiano provato parecchi imperi nella storia, dalla Persia all'Inghilterra alla Russia prima zarista poi comunista. Non l'ha mai ottenuto nessuno, come non lo stanno ottenendo ora gli esponenti del novello impero mondiale di Washington.

Lo situazione politica del petrolio, se è lecita l'espressione, è drammatica. Il maggior produttore mondiale è l'Arabia Saudita, una monarchia assoluta teocratica completamente corrotta, la cui famiglia reale è odiata dalla quasi totalità della popolazione, che segue però fedelmente la versione estremista e bellicosa dell'Islam che la stessa famiglia reale da sempre favorisce. Col risultato che un paese considerato amico dell'Occidente è anche il centro mondiale del terrorismo islamico, sebbene la cosa non sia chiara all'opinione pubblica. Ma non è un caso che il personaggio considerato il capo della maggiore organizzazione terroristica mondiale (ammesso che esista, che sia il capo e che la sua organizzazione esista e sia veramente la più importante, tutti punti da dimostrare) è un esponente della più importante famiglia imprenditoriale del regno saudita, i bin Laden. Qui da noi nessuno si rende ben conto che è come se il capo delle Brigate Rosse fosse un cugino di Berlusconi.

E' chiaro che un Saddam Hussein, nemico dell'Occidente ma anche dei sauditi in quanto (orribile a dirsi) laico e con un vicepresidente cristiano, doveva essere distrutto, per il bene delle famiglie Bush e ibn Saud. E bin Laden, direi. Il monopolio del petrolio deve restare saldamente nelle solite mani, specialmente ora. Il fatto è che i grandi petrolieri invece di investire in impianti investono in guerre e destabilizzazioni regionali, collegate a progetti più o meno irrealizzabili come l'oleodotto in Afghanistan.

La produzione interna degli Stati Uniti è in calo fin dagli anni 70 del secolo scorso, tanto che oggi più di metà del petrolio consumato negli USA è importato. Si capisce quindi quanto sia vitale per loro mantenere il controllo della maggior quantità di risorse possibile.

Emerge una situazione in cui l'ideologia neoliberista ha talmente pervaso le menti che nessuno si rende contro delle possibilità alternative, e tutti inseguono il vantaggio immediato, cercando di conquistare la posizione di massimo vantaggio con ogni mezzo, accaparrandosi le risorse esistenti e note, a costo di scontrarsi anche in guerra con chi si oppone. L'invasione dell'Iraq era perfettamente sensata in questo contesto, salvo che i suoi autori non si sono resi conto di non avere i mezzi per controllare il territorio dopo la conclusione del conflitto. Hanno terribilmente sopravvalutato le proprie capacità e quelle della macchina bellica americana, insuperabile sul campo di battaglia ma inservibile di fronte a forze paramilitari radicate sul territorio, ideologizzate e ben decise a sacrificarsi in azioni anche suicide. Quel distacco dalla realtà del mondo di cui parlavamo più sopra è qui manifesto: per chi comanda il mondo,  il petrolio è una risorsa che si controlla tramite i calcolatori della borsa di Wall Street e le supertecnologiche forze militari americane, non un fluido oleoso che scorre in condotte che pochi straccioni armati di esplosivo possono far saltare in aria come e quando vogliono.

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La vera crisi

Abbiamo brevemente accennato alle cause immediate ed a quelle ideologiche della crisi petrolifera in corso. Ma non abbiamo affrontato il punto cruciale, per nulla nascosto, dell'intera questione: qual è la reale disponibilità di petrolio al mondo? Questa crisi finirà o è soltanto l'inizio di qualcosa di molto più grande?

Il professor David Goodstein del California Institute of Technology, che in lingua corrente possiamo chiamare "il mitico CalTech", ha presentato all'ultima Fiera del Libro di Torino un libretto molto istruttivo, pubblicato in Italia dall'altrettanto mitica Università Bocconi. In italiano si intitola Il mondo in riserva, e contiene un'analisi molto completa ma espressa in modo semplice ed accessibile ai non tecnici dell'intero problema energetico mondiale.

Possiamo riassumere la situazione in pochi punti base:
  1. oggi il mondo va a petrolio, l'intera nostra civiltà si basa sul suo consumo;
  2. esistono fonti alternative, ma si fa poco o niente per svilupparle;
  3. il petrolio a basso costo finirà prima di quanto si pensi.
Goodstein ci spega che, come dimostrò a metà del secolo scorso un certo Hubbert , geofisico della compagnia petrolifera Shell, la crisi di una risorsa come il petrolio non si ha quando la risorsa finisce, ma quando ne resta ancora la metà. Per essere un po' più precisi, quando la produzione smette di crescere o, per i matematici, quando il consumo cumulato raggiunge il punto di flesso. La sua teoria è stata pienamente confermata dall'andamento della produzione di petrolio degli Stati Uniti, che ha raggiunto il suo punto di fine della crescita parecchi anni fa, nel 1970. Da allora la produzione americana continua, ma è in costante calo, con la conseguenza che gli Stati Uniti importano quantità crescenti di petrolio dall'estero. Ma anche per il mondo intero verrà il giorno in cui la produzione di petrolio smetterà definitivamente di crescere. Oggi abbiamo un arresto dovuto a motivi contingenti, come la guerra in Iraq e le vicende della Yukos in Russia, ma un giorno verrà il punto di flesso vero, il giorno in cui metà del petrolio del mondo sarà stato consumato. Attenzione però: il fattore nuovo più importante è lo sviluppo accelerato della Cina, di cui le previsioni fatte fino a poco tempo fa non tenevano conto.

Gli economisti affermano che non sarà un problema, perché quando il petrolio comincerà a scarseggiare il suo prezzo salirà, rendendo competitive altre fonti di energia, che potranno così sostituirlo senza tanti problemi. Abbiamo appena visto quale sia il distacco dalla realtà degli economisti, che confermano spesso la barzelletta per cui l'economista è quel tale che ci spiega oggi perché le sue previsioni di ieri erano sbagliate. Guardiamo la realtà: il prezzo del petrolio è salito a quasi 45 dollari al barile, e tutti parlano di sgravi fiscali sui carburanti, ma nessuno accenna all'opportunità di ricorrere a fonti di energia alternative.

L'importanza del petrolio per la nostra civiltà è molto maggiore di quello che sembra al cittadino medio. Certo, tutti i mezzi di trasporto, con alcune eccezioni che meritano di essere ricordate, funzionano con derivati del petrolio. Le eccezioni sono i treni, i tram e i filobus, che funzionano con l'energia elettrica, che si può produrre anche con fonti diverse dal petrolio, anche se almeno in Italia avviene in scarsa misura. Tra l'altro, quando si parla di veicoli elettrici, tutti pensano alle automobili a batteria, come se non sapessero che i treni e i tram sono elettrici... A questo ci conduce il martellamento costante dei media, che pratica un rimbecillimento forzato della popolazione a ritmo impressionante. Non a caso, negli Stati Uniti i treni sono diesel e i tram sono una rarità.

Ma anche l'energia elettrica è prodotta in buona parte bruciando derivati del petrolio; in Italia l'alternativa più importante è il gas naturale, che però è legato al petrolio da molti fattori, sia di mercato sia tecnici. Gas e petrolio sono risorse affini, presenti nelle stesse aree, geologicamente collegate, e quindi gestite dalle stesse compagnie, con prezzi solidamente collegati tra loro.

Si deve aggiungere che molti prodotti  di uso comune derivano dal petrolio: pressoché tutte le materie plastiche sono prodotte a partire dagli idrocarburi naturali. Pensiamo poi alle immense infrastrutture industriali e commerciali che sostengono l'estrazione, il trasporto, la distillazione, il trasporto dei derivati e la loro distribuzione ai consumatori: non si tratta di qualcosa di facilmente sostituibile o convertibile ad altri usi.

Se badiamo ai segnali emersi oggi, il futuro appare tetro: non c'è alcuna volontà di fare ricerca su altre fonti energetiche, e non ci sarà ancora per parecchio tempo. Le società petrolifere hanno efficacemente stroncato tutte le alternative al momento giusto, si pensi ad esempio alla distruzione dell'industria nucleare in Italia, avvenuta non a caso nel contesto di un'alleanza ferrea tra partiti di governo e compagnia petrolifera nazionale. Dal caso Ippolito al referendum degli anni ottanta, si è proceduto al sistematico smantellamento di ogni possibile applicazione dell'energia nucleare, un'alternativa seria e valida al petrolio almeno nel campo della produzione dell'energia elettrica. Gli ambientalisti sono stati gli utili idioti della situazione, prestando ai petrolieri ottimi strumenti di propaganda nei confronti della popolazione disinformata. Credendo che l'alternativa fosse tra nucleare e solare, gli italiani si sono resi schiavi del petrolio e del gas. Vi ricordate il sole che ride con la scritta nucleare, no grazie? Non ebbe seguito il logo con l'atomo e la scritta petrolio, no grazie, prodotto dai pochi disperati sostenitori dell'atomo.

Dovreste anche ricordare che il gruppo Ferruzzi, quando propose lo sviluppo di combustibili per gli autoveicoli derivati dai prodotti agricoli, invece di ottenere il sostegno del governo e delle istituzioni finanziarie venne attaccato e annientato. La vicenda si concluse con la morte di Raul Gardini nel 1993. Intanto in Brasile è ripresa la produzione di automobili alimentate ad alcool. Um outro mundo é possivel?

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Non se, ma quando

E' difficile dire oggi quanto petrolio ancora rimanga al mondo. I dati pubblicati non sono del tutto affidabili, anche perché le società petrolifere non hanno un particolare interesse a farsi fare i conti in tasca, e sono politicamente così potenti da poter truccare i dati a loro piacimento. Ci dobbiamo chiedere, molto seriamente, quanto siano imprevidenti piuttosto che disperatamente consci della situazione. Abbiamo visto infatti come si stiano dedicando più alla conquista delle risorse già note che alla ricerca di altre: è miopia o lungimiranza?  Il ragionamento condotto finora presuppone che al momento non vi sia ancora una scarsità primaria della risorsa, ma soltanto una crisi contingente. Non sappiamo, però, se effettivamente rimangano poche possibilità di trovare altre risorse, nel qual caso la crisi attuale si potrebbe già considerare come l'inizio della grande crisi finale, o se sarà sufficiente cambiare atteggiamento, riprendere le ricerche e riordinare il mercato mondiale, soprattutto superando le tensioni politiche attuali, per far tornare il mercato ad una situazione stabile di  prezzi moderati. Può darsi che i petrolieri conoscano una verità terribile e che la loro corsa all'accaparramento delle risorse con tutti i mezzi sia più sensata di quanto non sembri.

Qualunque sia il caso, però, l'unico dubbio non riguarda l'eventualità della grande crisi ma soltanto la sua data probabile. Goodstein dà un intervallo tra i dieci ed i vent'anni da oggi, qualcuno dice cinquanta. Visto quello che sta accadendo, sembra credibile la stima più pessimistica: gli ottimisti non tenevano conto dell'effetto micidiale dello sviluppo accelerato della Cina e forse anche dell'India, mentre l'accanimento nella conquista delle risorse note fa sospettare che le prospettive di trovarne altre non siano buone.

Dobbiamo assolutamente cominciare a prepararci, perché si tratta di sostituire la fonte energetica fondamentale della nostra civiltà, ricostruendo una quantità impressionante di infrastrutture. Il mondo non sarà più come prima. Dobbiamo scegliere se attendere il momento in cui il prezzo del petrolio salirà a valori impossibili, affidandoci agli economisti, oppure agire da persone previdenti e cominciare fin d'ora a cercare le alternative, in modo che non si abbia una crisi ma una transizione indolore. La situazione politica attuale non induce all'ottimismo, il mondo è dominato dai petrolieri (vedi Bush) e dai loro amici (vedi Berlusconi). Questi personaggi lotteranno fino all'ultima goccia di petrolio per conservare la loro egemonia. Perché la fine del petrolio segnerà anche la fine di un sistema economico basato su determinati equilibri di potere. Le fonti alternative non saranno probabilmente così centralizzate e controllabili come il petrolio: l'energia solare e le biomasse, ad esempio, si producono e si consumano su scala locale e non possono dar luogo ad un'industria mondiale centralizzata in poche grandi società. Tenteranno ogni trucco, a partire da un possibile ritorno al carbone, che precipiterebbe la crisi ecologica mondiale. La favola dell'idrogeno è uno di questi tentativi di depistaggio: l'idrogeno non è una fonte energetica! Occorre produrlo da altre fonti, e provate ad indovinare qual è la fonte che lorsignori hanno in mente - si tratta di sostanze ricche di idrogeno che a loro piacciono molto, dette dai chimici idrocarburi, volgarmente... petrolio e gas!

Se si ricorrerà a nuove fonti di energia, c'è il rischio che nasca un mondo più democratico...
Per questo i signori dell'oro nero lotteranno disperatamente fino all'ultimo per conservare il loro potere. Questo fattore non rientra nei conti degli economisti, che parlano di un mercato astratto che non esiste e non è mai esistito. I mercati veri sono dominati da altri fattori, come l'ambizione e la sete di potere, per i quali il denaro è un mezzo e non un fine, e dall'altro lato la sottomissione e l'ignoranza della maggior parte delle persone, che non possono far altro che chinare il capo e cercare di sopravvivere alle crisi  politiche ed economiche come se fossero disastri naturali.

In un contesto neoliberista, nessuno si impegna a fare investimenti significativi, necessariamente a lungo termine in nuove fonti energetiche; d'altro canto, chi ci ha provato finora è stato stroncato con tutti i mezzi leciti ed illeciti dalla lobby che controlla l'industria del petrolio. Qualche volta per effettiva applicazione del neoliberismo, spesso usandolo come pretesto ideologico, ci hanno messi in un vicolo cieco.

Verrà il giorno della resa dei conti petrolifera, senza dubbio. C'è il rischio serio che sia un giorno di violenza e miseria. Ma verrà il giorno in cui l'umanità saprà prendere il destino nelle proprie mani e non dovrà più dipendere da dominatori tanto sciocchi quanto avidi, capaci solo di causare disastri?

Alberto Cavallo

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Bibliografia

Elenco qui i libri citati, per facilitare il lettore.

GALLINO, LUCIANO, La scomparsa dell'Italia industriale, Einaudi, Torino 2003.
Un'analisi impietosa del declino industriale dell'Italia, con il ruolo dei politici e degli imprenditori nella deindustrializzazione del paese.

GOODSTEIN, DAVID, Out of gas: The End of the Age of Oil, W.W.Norton & C, 2004, trad. it. Il mondo in riserva, Università Bocconi Editore, Milano 2004.
Un'ottima introduzione generale al problema della politica energetica, rivolto anche e soprattutto a chi non è un tecnico del settore energetico.



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