L'America bombardata


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15 settembre 2001

Indice

Alla pagina indice sulla politica internazionale
 

La prima volta

Il giorno 11 settembre 2001 gli Stati Uniti d'America sono stati sottoposti ad un attacco terroristico di proporzioni tali da configurarsi come un'azione bellica vera e propria: quattro aerei di linea sono stati dirottati e utilizzati come bombe volanti per attaccare i centri del potere economico, militare e politico della nazione. Uno di essi non ha raggiunto il bersaglio, probabilmente grazie all'eroismo di alcuni passeggeri che si sono ribellati ai dirottatori ed hanno fatto fallire lo scopo principale dell'azione, pur non riuscendo a salvare l'aereo e quindi le proprie vite; due aerei hanno centrato le torri del World Trade Center a Manhattan distruggendole completamente, mentre un altro ha colpito il Pentagono. E' stato in realtà un bombardamento, anche se di tipo non convenzionale. Per la prima volta nella storia, insomma, il territorio continentale degli Stati Uniti è stato colpito da un attacco aereo. Il numero delle vittime non è noto e ci vorrà molto tempo per stabilirlo, ma è dell'ordine della decina di migliaia.

Ad alcuni giorni di distanza, le informazioni disponibili al pubblico sembrano alquanto coerenti: gli autori del gesto sono arabi, per lo più cittadini sauditi, collegati al movimento capeggiato da Osama bin Laden, che risiede in Afghanistan ed è collegato con i Talebani. Questi ultimi hanno emesso comunicati minacciosi, affermando che compiranno azioni terroristiche ai danni di quei Paesi che appoggeranno eventuali azioni americane contro bin Laden nel loro territorio, configurando una complicità di fatto con gli autori dell'attacco (in termini legali almeno un favoreggiamento). Nessun altro Stato o movimento ha espresso solidarietà con i terroristi.

Questo evento ha cambiato completamente lo scenario internazionale. L'analisi che formulai al termine della guerra del Kosovo si intitolava un mondo meno sicuro. Le considerazioni che feci allora riguardavano essenzialmente i rapporti tra Stati, trascurando un fatto importante, che pure io stesso ho enunciato in altri contesti: la sempre minore importanza dei governi rispetto ad altri tipi di organizzazioni. Di fronte allo strapotere militare americano, gli Stati che intendono contrapporsi sono indotti a dotarsi di armi nucleari, o comunque altre armi di distruzione di massa. L'attacco all'America, che sinceramente non mi aspettavo, è stato condotto con l'arma del terrorismo, portata ad un livello inaudito di potenza distruttiva, da parte non di uno Stato, che non potrebbe affrontare la reazione militare americana, ma di un'organizzazione terroristica i cui rapporti con gli stati sovrani non sono noti. Il governo dei talebani è l'unico che di fatto si è associato all'azione, con le sue minacce di attacchi terroristici ai Paesi vicini, ma occorre ricordare che la maggioranza dei governi riconoscono il governo in esilio di Rabbani e non quello dei Talebani. L'attentato che ha portato alla morte del comandante Massoud, capo della resistenza contro i talebani, è avvenuto quasi contemporaneamente all'attacco all'America, e non sembra un fatto casuale.

Il mondo è davvero meno sicuro, e la minaccia viene da organizzazioni terroristiche capaci di colpire con una efficacia distruttiva senza precedenti. Anche la risposta dovrà essere senza precedenti. Di fronte a questa minaccia la gigantesca macchina militare USA e NATO sembra essere inadeguata; come in passato, i militari sono pronti a combattere la guerra precedente. Nel seguito di questa pagina cercherò di sviluppare la mia personale analisi di quanto è accaduto e di quanto si dovrebbe fare. Chiedo al lettore di proseguire fino al termine prima di formulare giudizi, adirarsi o entusiasmarsi.
 

Alberto Cavallo, 15 settembre 2001

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Nemesi

L'attacco terroristico all'America, non saprei come definire meglio quanto è accaduto, per molti aspetti ha origine negli stessi Stati Uniti. Se si vuole comprendere quello che è accaduto e individuare una possibile via d'uscita dalla situazione oggettiva di terrore in cui ci troviamo, occorre affrontare quest'analisi senza paraocchi.

Osama bin Laden è accusato di essere il capo dell'organizzazione che ha organizzato e compiuto l'attacco e l'ideatore di una grande strategia antioccidentale, che avrebbe come obiettivo addirittura la creazione di un unico grande Stato islamico, che comprenda tutti gli Stati in cui si professa la religione dell'Islam e abbatta il potere degli Stati Uniti e dell'Occidente in generale. Ma lo sceicco miliardario è stato in passato collegato con gli stessi servizi segreti USA (la CIA), che lo avevano assoldato per contrapporre un movimento islamico al potere sovietico in Asia centrale.

I Talebani sono un movimento artificiale, creato dal servizio segreto del Pakistan, col beneplacito americano, per acquisire il controllo dell'Afghanistan, dopo il crollo del regime filosovietico e l'instaurazione di una situazione caotica, in cui i vari movimenti anticomunisti si combattevano tra loro, una volta eliminato il regime. Una volta conquistata Kabul, i Talebani hanno imposto un regime di terrore inaudito, che ha ridotto il Paese in condizioni medievali,  parallelamente consentendo il massimo sviluppo della produzione del papavero da oppio, ci cui l'Afghanistan sembra essere oggi il principale produttore mondiale. Importanti esponenti pakistani appoggiano questo regime e gestiscono i lucrosi traffici di stupefacenti, utilizzandone i proventi per accrescere il proprio potere nel Pakistan medesimo. Si veda l'articolo di Giulietto Chiesa sul numero 2 di Limes di quest'anno.

I guerriglieri armati e addestrati dal Pakistan, per conto dell'Occidente, per abbattere il regime comunista afghano e poi per acquisire il controllo del Paese, sono oggi pronti ad agire contro il Grande Satana americano (per usare il linguaggio di Khomeini). Ironicamente, sono nemici dell'Iran sciita e quindi dei successori del medesimo Khomeini.

Frattanto, la situazione in Palestina è degenerata. L'uso di attentatori suicidi per gli attacchi a Israele ha stabilito il precedente per l'azione, incredibilmente più vasta, diretta contro l'America. La situazione di stallo dei negoziati ed il procedere agghiacciante della spirale degli attacchi e delle rappresaglie fornisce un importante elemento ideologico a supporto del terrorismo su una scala ben più vasta.

La nascita del movimento terrorista che oggi minaccia il mondo intero è quindi avvenuta, paradossalmente, con l'appoggio della stessa America che oggi piange migliaia di vittime. La sconsideratezza dei governi di Washington negli anni passati, quando in nome della lotta al comunismo tutto si considerava lecito, ha posto le basi della situazione in cui ci troviamo.

A questo si aggiunge l'incapacità di trovare una soluzione al conflitto arabo-israeliano. Non si può dire che tento di scaricare sugli USA un compito che spetta alla comunità internazionale nel suo insieme, perché gli USA sono da sempre il principale alleato di Israele, alleato da cui dipende la sopravvivenza stessa dello Stato ebraico. La situazione di stallo del conflitto è dovuta principalmente al rifiuto israeliano di rimuovere i cosiddetti "coloni" dai territori autonomi palestinesi. La soluzione esiste, occorre creare uno Stato palestinese indipendente e sovrano, nei territori della ex Cisgiordania e di Gaza, con il ritiro totale delle forze armate israeliane e dei coloni ebraici che occupano i punti strategici. Soltanto gli USA hanno l'autorità necessaria per imporla ad Israele. Ed auguriamo ad Arafat vita prosperità e salute, perché un eventuale successore potrebbe non essere un interlocutore altrettanto abile nel mantenersi in equilibrio tra l'esigenza del compromesso e le spinte degli estremisti del suo campo e della sua stessa opinione pubblica.

I metodi usati nella ex Jugoslavia, se andiamo a rileggercene la storia, ricalcano quelli di cui ho parlato per l'Afghanistan: appoggio a gruppi terroristici (vedasi UCK) contro un regime inviso (la Jugoslavia di Milosevic). Qui si è giunti a combattere apertamente a fianco dei terroristi. Ed ora si è creata una situazione esplosiva in Macedonia, per l'ovvia ragione che un movimento come l'UCK, una volta attivato, cercherà sempre nuovi campi di battaglia, anche contro l'interesse di chi l'ha fomentato in precedenza. Nel suo piccolo la storia dei Balcani presenta parecchie analogie con quella dell'Afghanistan. E i Balcani sono al nostro confine orientale.

L'Occidente sta pagando col sangue di migliaia di innocenti il fatto di aver appoggiato e istruito pericolosi terroristi come strumenti antisovietici, per poi perderne il controllo. Parafrasando John Donne (e Hemingway), non chiedetevi chi colpirà il terrorista: colpirà voi. Pensateci, prima di armarlo e addestrarlo.

Alberto Cavallo, 15 settembre 2001

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Guerra?!

Il presidente Bush ha detto che l'attacco all'America è stato un atto di guerra. Se ne può discutere cavillosamente, ad esempio osservando che non è stata l'azione dichiarata di uno Stato sovrano. Ma penso che si possa affermare che si è trattato veramente di un atto bellico, precisamente di un attacco non convenzionale senza dichiarazione, l'unico possibile contro la più grande potenza militare del mondo.

Quello che ho detto sopra non giustifica, infatti, l'atteggiamento di chi dicesse che, dopo tutto, è una situazione creata dall'America, e se la debbono risolvere loro.
Di fronte a questi eventi non si può restare neutrali. La minaccia riguarda la vita di ognuno di noi e i fondamenti stessi, vista la provenienza dell'attacco, della nostra civiltà. Questa volta libertà e democrazia non sono un paravento ideologico: per quanto imperfetto sia il nostro sistema sociale, esso è immensamente migliore di quello che vorrebbero coloro che stanno portando l'attacco.

Quando, nel 1999, la NATO attaccò la Jugoslavia, io mi schierai decisamente contro quell'azione, senza mezzi termini, sia pure riconoscendo le gravi colpe del regime di Milosevic. Ho spiegato poche righe più sopra come e perché sono tuttora convinto che quella guerra fosse sbagliata.

Ma ho già spiegato che non sono un pacifista, sono uno che odia la guerra ma ritiene che in casi estremi possa esistere il dovere di combattere.

Oggi io dichiaro di essere a favore di un'azione decisa, anche di tipo bellico, contro i responsabili dell'attacco all'America e coloro che li appoggiano. Sono già morti moltissimi innocenti, siamo realmente già in guerra. L'azione non dovrà essere incerta, per timore di perdite umane: se si decide di fare la guerra, si deve fare la guerra. Niente bombardamenti da 10.000 metri di quota su obiettivi civili, ma attacchi diretti, con tutti i mezzi necessari, contro obiettivi ben definiti e significativi. Tutti i mezzi vuol dire mezzi militari ed anche di altro genere, naturalmente, ma mezzi efficaci. Non sanzioni economiche, che non hanno mai colpito nessuno tranne la parte povera delle popolazioni dei Paesi che le subiscono. Occorre sequestrare i beni dei capi terroristi, colpire le loro linee di rifornimento materiali e finanziarie.

Troverei vergognoso che i governi europei, che due anni fa appoggiarono acriticamente un'azione militare illegale e vile, oggi ponessero distinzioni nel loro appoggio all'America.

Quanto è accaduto ha invece posto le premesse affinché Stati Uniti d'America ed Europa, con l'appoggio o almeno il consenso, che ora sembra possibile, perfino della Cina e della Russia, abbattano il regime talebano dell'Afghanistan e ridimensionino la dittatura militare del Pakistan. Regimi che esprimono tutto ciò che la nostra civiltà rifiuta: fanatismo, intolleranza, violenza, profittazione ammantata di falsa religiosità.

Al di là delle considerazioni sull'origine dell'attacco, esso potrebbe almeno far tornare in mente a tutti che esistono valori diversi dal denaro. Libertà, eguaglianza e fraternità non sono conciliabili con il predominio assoluto del Dio Dollaro. Se con le torri del World Trade Center, piene di uffici di banche e finanziarie, fosse crollato o almeno avesse subito danni il pensiero unico globale, e si tornasse a comprendere che le società per azioni non sono le tipiche istituzioni della democrazia o le sedi di un'autorità morale, potremmo non certo accettare l'accaduto ma almeno considerarlo una tragica occasione di riflessione e risveglio morale.

Alberto Cavallo, 15 settembre 2001

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