Nuovi pericoli, vecchie tragedie


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4 aprile 2002

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Alla pagina indice sulla politica internazionale
 

Si avvicina il momento dell'Iraq

Il governo americano ha ormai da tempo individuato il prossimo obiettivo da attaccare: l'Iraq. Il presidente Bush ha dichiarato la nuova lista dei "paesi canaglia", oggi definiti "asse del terrore": comprende Iraq, Iran, Corea del Nord. La lista continua ad essere sbagliata, se la consideriamo come una lista di Paesi che appoggiano il terrorismo e che minacciano la pace mondiale; esprime invece le priorità dell'amministrazione Bush, che non quadrano affatto, come al solito, con le intenzioni dichiarate.

Tutti sanno che Iran ed Iraq sono tra loro mortalmente nemici. L'Iran è un Paese in evoluzione, ormai ben poco minaccioso per la pace mondiale. Certo, come ogni altro, difende i propri interessi, quindi si immischia, ad esempio, nelle faccende dell'Afghanistan. Da qui a dire che appoggia i resti di al-Qa'ida rimane una bella distanza: l'Iran sciita resta nemico mortale dell'Arabia e di bin-Laden. Le forze che esso appoggia sono quelle dei signori della guerra sciiti.Quanto alla Corea del Nord, è in corso un avvicinamento con la Corea del Sud e mai come ora si è stati lontani da qualsiasi minaccia di conflitto in quella regione. Un intervento militare ora sarebbe assoluta follia. Perfino il governo Bush sta dando la priorità, quindi, all'attacco all'Iraq.

Certo Saddam Hussein è un personaggio impresentabile, un facile bersaglio dal punto di vista propagandistico. Peccato che un attacco militare volto ad abbatterlo non possa evitare di coinvolgere la popolazione civile dell'Iraq, già duramente provata da molti anni di guerra e di embargo. Qui non si tratta di rovesciare un regime privo di legittimità e male organizzato, ma un governo riconosciuto dall'ONU e saldamente in sella, con forze armate ben equipaggiate e senza un'opposizione interna degna di nota. I ribelli curdi del nord e gli sciiti del sud non sono minimamente paragonabili all'Alleanza del Nord afghana: non sono riconosciuti da nessuno, hanno provato di essere poco affidabili e mirano alla frantumazione dello Stato. I curdi desiderano un proprio Stato indipendente, con la prospettiva di un Grande Kurdistan che includa parti della Turchia e dell'Iran; gli sciiti sono vicini all'Iran, pur esso nemico degli USA. Una situazione esplosiva, senza alcuna prospettiva di una possibile sistemazione dopo la caduta di Saddam.

Dal punto di vista della legittimità, non vi è alcun appiglio per giustificare un eventuale attacco degli americani e dei loro fedeli servetti inglesi del governo Blair. L'Iraq non ha compiuto né sta compiendo atti aggressivi, semplicemente rifiuta la presenza di osservatori stranieri sul proprio territorio. Non c'è da meravigliarsene, dato che tra i cosiddetti osservatori dell'ONU ci sono solitamente agenti segreti americani. Comunque un'inadempienza di questo tipo non può giustificare un attacco: si legga la carta delle Nazioni Unite, e si cerchi se si può trovare un minimo pretesto!
 

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La tragedia della Palestina

In Palestina il conflitto prosegue, con stragi e distruzioni terribili. Attacchi e rappresaglie sanguinose si susseguono senza interruzione. Ora sono stati coinvolti luoghi santi del cristianesimo, la stessa Basilica della Natività a Betlemme. Ma, più ancora, che cosa sta accadendo agli abitanti innocenti delle città palestinesi?

E' del tutto evidente che senza un intervento esterno la tragedia non può avere fine. L'ONU ha chiesto formalmente il ritiro delle forze israeliane dai territori palestinesi, senza ottenere nulla. E' singolare che questa inadempienza israeliana resti impunita, mentre l'Iraq potrebbe essere bombardato a tappeto ed invaso perché non lascia accedere gli osservatori per le verifiche sui suoi armamenti. La legalità internazionale ha valore molto diverso, secondo il soggetto a cui si applica: secondo alcuni Israele ha il diritto, per difendersi, di fare praticamente qualsiasi cosa, invadere territori, distruggere case, uccidere civili; altri Paesi non hanno nemmeno il diritto di difendersi, tout court.

Non è necessario aggiungere molto a quanto già detto in precedenza: l'attuale piano di pace dell'Arabia Saudita, approvato da tutti i Paesi arabi, ripercorre l'unica possibile via alla pacificazione della regione. Occorre che Israele si ritiri dai territori palestinesi, comprendendo nel ritiro i cosiddetti coloni, che lo Stato palestinese sia riconosciuto e che si dispieghi una forza di interposizione armata. Questa forza non dovrebbe comprendere né arabi né americani, ma soltanto europei e forze di altri Paesi alieni da qualsiasi compromissione (tanto per dire, l'India).

Può darsi che l'amministrazione Bush tenti di forzare la mano ad Israele, per avere dagli arabi il consenso all'attacco dell'Iraq; questa possibilità peraltro può essere uno dei motivi per cui gli attacchi terroristici dei palestinesi non cessano: soltanto tenendo acceso il conflitto si evita che insorgano le condizioni per un intervento americano nelle vicinanze. E' possibile, quindi, che Arafat sia vittima di esponenti arabi che contro la sua volontà alimentano il terrorismo, per i propri fini. Del resto, però, senza l'arma del terrorismo i palestinesi potrebbero soltanto subire la soluzione voluta da Israele: la loro ghettizzazione in veri e propri bantustan come quelli del Sudafrica razzista. Non c'è da meravigliarsi che tra i terroristi suicidi ci siano personaggi improbabili in un ruolo da estremisti: tranquilli padri di famiglia, giovani studentesse emancipate. I palestinesi non hanno un altro luogo dove andare, la Palestina è la loro patria; ma Israele non riconosce loro alcun diritto, vuole rinchiuderli in piccole aree senza risorse, per indurli all'emigrazione in massa come alternativa unica alla miseria più estrema, fino alla morte per inedia. I cittadini israeliani, vittime dei loro attacchi, sono individualmente incolpevoli di atti di violenza ma rappresentano tutti, anche se non sono combattenti, l'invasore che vuole privare i palestinesi della loro terra. Morire portando con sé qualcuno degli invasori diventa una soluzione accettabile per chi non ha speranza. Non è possibile un paragone con gli attentatori dell'11 settembre scorso, uomini della classe media araba imbottiti di fanatismo folle: qui abbiamo uomini e perfino donne che non sono fanatici ma soltanto disperati in modo estremo. Che poi siano essi stessi strumentalizzati per progetti altrui, fa parte della loro tragedia. Ma, in nome di Dio (Allah, Jhwh), dove mai possono andare i palestinesi? E' pensabile che alcuni milioni di esseri umani riescano a trasferirsi altrove, nel mondo di oggi? Se è stato riconosciuto agli ebrei, in nome delle persecuzioni da essi subite, il diritto a ricostruirsi una patria, coloro che di questo riconoscimento hanno subito il danno, non hanno forse anch'essi qualche diritto?

Arafat non può ora arrendersi, l'atteggiamento israeliano gli ha chiuso ogni via d'uscita. In realtà il leader dell'Autorità palestinese non ha più il controllo della situazione, è trascinato dagli eventi come dalla corrente di un fiume che ha rotto gli argini. E Sharon persegue la sua politica di cercare la vittoria, non la pace, a costo di qualunque strage. La soluzione c'è ed è ovvia, ma non è perseguibile perché nessuno ha i mezzi e la volontà per imporla.

Nessuno però ci parli più di guerre umanitarie, interventi giusti, azioni di polizia internazionale contro stati canaglia: si dica una volta per tutte che il giusto è l'utile del più forte, e si agisca poi in conseguenza, senza ipocrisie.
 

Alberto Cavallo, 4 aprile 2001

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