Palestina: la misura è colma


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26 dicembre 2001

Indice

Alla pagina indice sulla politica internazionale

Un evento simbolico

Il governo di Israele ha impedito al presidente dell'Autorità palestinese, Yasser Arafat, di assistere alla Messa di Natale a Betlemme. Arafat è mussulmano, ma ogni anno è presente al rito cristiano per mostrare di essere leader di tutti i palestinesi, di ogni religione. Per un mussulmano, Gesù è comunque un grande profeta e la sua nascita un evento importante, un evento di pace. Israele gli ha impedito un gesto di buona volontà, collegando impropriamente il permesso allo spostamento di Arafat a Betlemme con azioni contro esponenti palestinesi considerati terroristi. E' inutile dire che assumere un atteggiamento sostanzialmente ricattatorio in questo genere di situazione è dimostrazione di viltà e bassezza d'animo.

Come la presenza di Arafat alla Messa sarebbe stata un evento simbolico, così lo è stata l'azione di Israele. Il Natale è evento di pace e fratellanza universale, accettato anche dai mussulmani, non solo dai cristiani. Il governo di Israele ha manifestato la propria estraneità a questo evento in modo netto ed inequivocabile. Il governo di Israele ha manifestato la sua estraneità alla pace ed alla fratellanza universale.

Alberto Cavallo, 26 dicembre 2001

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Il credito è scaduto

A compensazione della crudele ed inaudita persecuzione, perpetrata ai suoi danni dai nazisti durante il loro predominio in Germania e nei territori europei occupati nel corso della II Guerra Mondiale, il popolo ebraico ha goduto e gode ancora di un trattamento di favore rispetto a tutti gli altri. In molti Stati negare la Shoah è reato penale, a tutti gli effetti un reato d'opinione: chi nega che la Terra sia rotonda può essere considerato un po' matto ma non corre rischi giudiziari, chi contesta anche solo l'entità dei massacri nazisti rischia serie conseguenze. Non sto parlando di apologia, ma di negazione o semplice contestazione dell'entità dell'evento, l'apologia di un reato essendo di per sé un reato in tutti gli ordinamenti. Ritengo che i cosiddetti revisionisti siano in malafede ed in buona misura autenticamente nazisti, ma il principio della libertà di opinione per me è inviolabile e disapprovo tale legislazione.

Perfino chi osserva che nella Storia ci sono state altre stragi e persecuzioni altrettanto gravi rischia se non altro il linciaggio morale. E' dogma assoluto che non vi è stata altra persecuzione così grave.

La creazione dello Stato di Israele è stata vissuta dagli ebrei come garanzia del non ripetersi della persecuzione, dagli occidentali come compensazione del male da essi subito (lasciamo da parte la geopolitica, consideriamo l'opinione pubblica in generale). Chi osa criticare Israele si trova soggetto ad una duplice trappola: criticare Israele vuol dire criticare gli ebrei, quindi associarsi ai nazisti; in alternativa, associarsi ai malefici terroristi islamici, visto che palestinese è "sinonimo" di terrorista islamico. Sto parlando della percezione diffusa, non mi interessano le parole moderate che si pronunciano nei discorsi ufficiali o che si scrivono da parte degli opinionisti.

Sarà legale affermare che non tutti i palestinesi sono terroristi? E ricordare che molti di loro sono cristiani?

La comunità più perseguitata in Palestina oggi è appunto quella cristiana palestinese: in quanto palestinesi sono maltrattati dagli israeliani, in quanto cristiani sono estranei al movimento islamista che pretende di difendere gli interessi palestinesi e quindi esposti a gravi rischi.

In nome delle minoranze oppresse, a cominciare dai palestinesi cristiani, occorre affermare che il credito di buona volontà di cui ha goduto lo Stato di Israele è scaduto. Perché Israele è uno Stato come gli altri e può essere criticato e condannato come gli altri. Criticare Israele non vuol dire essere nazisti o terroristi. Criticare gli ebrei che sostengono certe posizioni non vuol dire essere antisemiti. Tra l'altro, i palestinesi in quanto arabi sono semiti, quindi sostenendo i palestinesi si è filosemiti e non antisemiti. Gli arabi discendono anch'essi da Sem, figlio di Noè.

Nelle prossime parti di questa pagina si troveranno altre parole pesanti nei confronti di Israele e del suo governo, dopo quelle che ho posto all'inizio. Sarà inutile che io dica che molti dei personaggi famosi che più amo sono ebrei, da Woody Allen ad Albert Einstein: le mie critiche ad Israele mi faranno considerare da certi lettori antisemita, nazista e terrorista. Correrò il rischio.

Alberto Cavallo, 26 dicembre 2001

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Una situazione insostenibile

Il motivo per cui non è possibile risolvere il conflitto in Palestina è uno solo: non si consente alla comunità internazionale di intervenire a separare i contendenti e ad imporre l'unica soluzione ragionevole, la creazione di uno Stato palestinese in Cisgiordania e nel territorio di Gaza. Il veto recentemente imposto dagli Stati Uniti alla proposta di invio di osservatori ONU in Palestina mostra chiaramente dove risiedono le responsabilità.

Arafat ha più volte dichiarato di accettare la presenza ONU. Del resto, se anche non fosse sincero non avrebbe i mezzi per opporsi. E' il governo israeliano il vero ostacolo, e gli USA che lo appoggiano.

I palestinesi si trovano nelle condizioni dei nativi americani nelle riserve, o dei neri sudafricani nei Bantustan al tempo dell'apartheid. E' stata concessa loro un'autonomia fittizia su brandelli di territorio privi di continuità e collegamenti, mentre le vie di comunicazione e le sorgenti d'acqua sono controllate dall'esercito e dai coloni israeliani.

E' evidente che si deve concedere ai Palestinesi un vero Stato. Prima di tutto, occorre che se ne definiscano i confini in modo equo: i cosiddetti coloni israeliani dovranno andarsene ed i confini dovranno essere tracciati grosso modo su quelli della vecchia Cisgiordania, con variazioni ove risulti necessario ed opportuno. Soltanto la striscia di Gaza potrà formare un elemento non connesso territorialmente, purché Israele conceda opportuni diritti di passaggio sotto garanzia dell'ONU. Il potere arbitrario che ha Israele di interrompere le comunicazioni tra palestinesi deve finire.

La condizione di Gerusalemme sarebbe il punto più difficile da definire, ma occorre tenere presente che essa è sacra a ben tre religioni. Non può essere quindi affidata tout court ad Israele, né sarebbe auspicabile un muro come quello che vi fu a Berlino. Ma si potrebbe certo accettare anche il Muro di Gerusalemme, se la sua costruzione consentisse di raggiungere un accordo di pace.

Sappiamo che il governo Sharon non accetterebbe mai queste condizioni, mentre Arafat lo farebbe volentieri. Ma a che cosa mira Sharon? Non vedo alcun fine razionale nelle sue azioni, se non la distruzione fisica o la deportazione della totalità del popolo palestinese. Non si può pensare che i palestinesi possano vivere per sempre nelle riserve indiane inventate dagli israeliani, sorvegliati da coloni armati (i coloni del West?). Sharon e quelli come lui mirano al totale controllo di una Palestina senza palestinesi, vogliono che i palestinesi se ne vadano con le buone (si fa per dire) o con le cattive.

In Jugoslavia è stato inventato il concetto di pulizia etnica. Non pensando che Sharon sia uno sciocco, ritengo che egli miri alla pulizia etnica della Palestina. Israele non potrebbe accettare la presenza di milioni di palestinesi al suo interno, con tanto di cittadinanza, perché perderebbe il suo carattere di Stato ebraico. La presenza dei non ebrei in Israele è una minaccia alla sua ebraicità, quindi crea un problema con due sole soluzioni: accettare i palestinesi senza dar loro la cittadinanza, che è la soluzione del Sudafrica durante gli ultimi tempi dell'apartheid, peraltro ingestibile a lungo termine, oppure fare in modo che restino minoranza sparuta ed isolata. Non restano che l'apartheid o la pulizia etnica, dunque, se non si vuole accettare una separazione equa tra due Stati con eguale dignità.

Negli ultimi anni si è cercato a più riprese di affermare il principio che la comunità internazionale non può e non deve assistere inerte non solo a conflitti tra Stati (e lo dice la carta dell'ONU), ma anche a conflitti civili e interetnici. Ma in Palestina non si può intervenire, perché gli USA mettono il veto. Questo comportamento squalifica totalmente la pretesa americana che siano accettati interventi in altre parti del mondo per motivi morali o umanitari. Moralità ed umanità richiederebbero, in base ai principi enunciati per giustificare gli interventi di Haiti, Jugoslavia, Golfo Persico, Afghanistan e così via, il dispiegamento di una forza militare di interposizione tra Israele e palestinesi, col mandato di usare anche la forza ove necessario per fermare il conflitto.

Il rifiuto americano all'invio in Palestina di semplici osservatori dell'ONU disarmati mostra che l'America è in malafede quando giustifica i suoi interventi in giro per il mondo. Io ho giustificato l'intervento in Afghanistan per motivi che ho abbondantemente spiegato, ma dichiaro qui che sulla base dei medesimi principi occorre un intervento non di peacekeeping (non c'è nessuna pace da preservare) ma di peace enforcing in Palestina. Io non sono pacifista, penso che a volte sia necessario l'intervento bellico. Penso che occorra in particolare in Palestina, e che ovviamente non ci sarà.
 

Alberto Cavallo, 26 dicembre 2001

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