Pagina aggiornata il 1° novembre 2005
Il primo referendum (1999) è fallito
per
mancato raggiungimento del quorum del 50% dei votanti, ma per poco. Il
secondo referendum (2000) ha avuto una percentuale di votanti
decisamente
inferiore, poco più del 30%. Altrove ho commentato la pratica di annullare i referendum con il
metodo dell'astensione, qui però parliamo dei contenuti.
L'attuale legge elettorale nacque dopo
l'ondata referendaria il cui ispiratore è considerato l'on.
Mario Segni. Gli italiani, stanchi della strana stabilità
instabile della vecchia repubblica, in cui i governi duravano in media
sei mesi ma i governanti erano sempre gli stessi, speravano di ottenere
una vera alternanza di governo unita ad una stabilità formale
nel corso delle legislature, attraverso una riforma "alla anglosassone"
del sistema elettorale. Perciò votarono in massa per i
referendum che miravano alla svolta uninominale, ai quali seguì
la promulgazione di varie leggi più o meno articolate, fino al
compromesso dell'attuale, detta Mattarellum dal nome dell'on.
Mattarella. E' sicuramente una delle leggi elettorali più
intricate e farraginose al mondo, ma sulla stabilità e
l'alternanza ha funzionato: ci ha regalato prima alcuni governi di
centrosinistra nuova formula (da Prodi a D'Alema) e poi una legislatura
intera di governo Berlusconi.
Eppure nessuno è soddisfatto. Gli italiani hanno capito che la frenesia maggioritaria dei politici nascondeva una vera e propria frode nei loro confronti. L'esperienza con le formule maggioritarie ha mostrato che il numero dei partiti anziché calare è cresciuto e che i governi sono sempre formati da coalizioni litigiose, anche se la loro durata si è prolungata fino al record dell'attuale. Il problema, hanno capito ormai tutti, non è la legge elettorale ma la classe politica. Questo non vuol dire che l'attuale legge elettorale sia valida, anzi è un pasticcio inverecondo con la sua mescolanza di proporzionale e maggioritario e con meccanismi complicati e perversi come lo "scorporo".
Per un certo tempo
è andato di moda il modello tedesco. Ma
io sbagliavo, quando scrissi l'articolo originale, pensando di indicare
un modello
di sistema proporzionale: in realtà il
sistema tedesco è
un misto di uninominale e di proporzionale, al 50%. Di
questo mi devo scusare
con i lettori. Le recenti elezioni in Germania hanno creato un
magnifico stallo, in cui è difficile formare un governo. Eppure
apprezzo quel risultato: si è evitato precisamente che la
bipolarità forzata portasse ad un governo non sostenuto dalla
maggioranza degli elettori. Oggi in Germania manca una chiara
maggioranza in Parlamento perché essa manca nel paese, e dal mio
punto di vista è assai meglio che si formi un governo di larga
coalizione, che affronti i problemi senza preclusioni ideologiche.
Vediamo infatti come nei paesi "maggioritari" i governi non siano
più espressione della volontà degli elettori e portino al
governo ideologie inquietanti, come quella di George Bush negli USA.
La Germania non ha dato pieni poteri alla sua
versione di Margaret Thatcher, la signora Angela Merkel,
grazie al suo sistema elettorale che ha rispecchiato la volontà
degli elettori - per quanto confusa sia tale volontà! E'
possibile così che la Germania non cada vittima della stessa
follia ideologica neoconservatrice da cui la Gran Bretagna, travolta
dalla Signora di Ferro, ancora non è uscita, perché il
presunto laburista Blair ha continuato sulla strada del
neoconservatorismo, in accordo con i suoi amici americani. E Blair
governa ancora, avendo "vinto" le elezioni, quando in realtà
soltanto il 35% dei votanti pari al 21% degli aventi diritto ha votato
per il suo partito.
I tedeschi sono insoddisfatti di Schroeder, ma
non desiderano un governo ultraconservatore. Grazie al loro sistema
elettorale hanno potuto cambiare cancelliere senza dare pieni poteri
alla destra, che comunque deve fare i conti con una forte componente
socialdemocratica anche nell'esecutivo. Questa
è la forza di un sistema democratico, anche se comporta a volte
situazioni di difficoltà a formare il governo. Ma se
l'incertezza
politica ha un fondamento reale, imporre un governo a forza di
meccanismi elettorali non è comunque un metodo democratico per
risolverla.
E' questo il punto cruciale dell'attuale
proposta della maggioranza di governo (la si può leggere su CittadinoLex):
un sistema puramente proporzionale in apparenza, ma che attribuisce
automaticamente 340 seggi alla Camera (e analogamente 170 al Senato)
alla coalizione che ottiene il maggior numero (relativo) di voti.
Questo vanifica completamente tutte le mie argomentazioni sulla
superiorità democratica del proporzionale. E'
un'autentica presa in giro, una manovra disperata di chi
teme di perdere le elezioni e si attacca ad ogni minima speranza di
scompigliare le carte.
Io propongo che si torni ad una legge elettorale proporzionale al 100%, senza quota uninominale né premi di maggioranza, ma con uno sbarramento del 5% (o anche del 6-7% ma non di più) per impedire l'accesso ai micropartiti. Se si vuole adottare una legge alla tedesca, si eviti almeno il premio di maggioranza.
Considerando che mancano pochi mesi alla
scadenza della legislatura e che tra le due coalizioni c'è un
contrasto irrimediabile, non vedo altra possibilità seria che il
mantenimento della legge attuale ed il rinvio della riforma alla
prossima legislatura.
In Italia si sta discutendo animatamente dell'ennesima riforma della
legge elettorale per il Parlamento della Repubblica.
E' importante riflettere sull'argomento in modo pacato e senza lasciarsi influenzare dalle circostanze politiche attuali. Il metodo di elezione del Parlamento è estremamente importante in quanto influisce, a lungo andare, su tutte le istituzioni della repubblica: è infatti il Parlamento che, con la sua funzione legislativa anche in campo costituzionale, determina attraverso le leggi ordinarie e le eventuali modifiche alla Costituzione la struttura ed il funzionamento di tutte le altre istituzioni.
Esaminiamo quindi i motivi in base ai quali in passato si voleva
abolire totalmente
il principio di assegnazione proporzionale dei seggi e vediamo se,
invece,
non lo si dovrebbe restaurare per l'elezione del Parlamento intero.
Nello stesso tempo, si consideri che l'attuale proposta di ritorno al
proporzionale è viziata dal meccanismo del premio di
maggioranza, quindi non rispecchia i principi che andiamo ad enunciare.
Ora, la stabilità dei governi non è il valore più importante in una democrazia. Infatti, la massima stabilità del governo si ottiene facilmente - con la dittatura!
Non c'è dubbio che in Italia abbiamo avuto, nella cosiddetta Prima Repubblica, una notevole instabilità dei governi, intesa in senso strettamente istituzionale - ma era compensata da un'estrema stabilità nella composizione del governo effettivo della nazione, le segreterie dei partiti.
Riavvicinandoci al presente, si deve notare che, da quando la legge elettorale italiana è stata modificata in senso maggioritario, abbiamo avuto non una diminuzione ma un aumento del numero dei partiti; inoltre i governi sono sempre stati di coalizione e vi sono sempre stati cambi di governo dovuti a modifiche nelle alleanze (caduta del primo governo Berlusconi e poi del governo Prodi). Per rimediare a questo, ci dicono, dobbiamo rafforzare il bipolarismo. Mi sembra, però, che qui ciascuno voglia rafforzare solamente la solidità della colla che lo tiene attaccato alla poltrona. Le motivazioni che hanno portato alla proliferazione dei partitini non hanno nulla a che vedere con la legge elettorale, e molto con la struttura del mondo politico italiano.
Un partito formato da pochi individui ha molte più possibilità nel sistema bipolare all'italiana che in un sistema proporzionale vero. Infatti, un uomo politico che nel vecchio sistema (Prima Repubblica) sarebbe stato al massimo il capo di una corrente, oggi può fondare un partito, rimanendo aggregato inizialmente ad uno dei poli. Se il suo peso personale è sufficiente, infatti, uno di questi mini-leader può comunque assicurarsi il posto in parlamento, prima ancora di aver creato il proprio partito, facendosi assegnare un collegio elettorale sicuro in seguito ad un opportuno patto con uno dei poli (vedi ad esempio il Sen. Di Pietro).
L'abolizione della quota proporzionale non cambia nulla: è appunto il collegio uninominale che consente l'elezione dell'esponente di un partito estremamente minoritario o di un individuo senza partito, in base alla sua aggregazione ad un polo. La quota proporzionale, paradossalmente, è utile soltanto ai movimenti con una certa consistenza numerica.
Il vero obiettivo dell'abolizione della quota proporzionale tentata
in passato era
quello di danneggiare i movimenti dotati di consistente base
elettorale,
ma non legati stabilmente ai due poli. D'altra parte l'attuale sistema
favorisce quei partiti che senza il bipolarismo rischierebbero di
uscire permanentemente dall'area di governo, come Alleanza Nazionale,
per la quale il massimo danno si avrebbe dalla rinascita del cosiddetto
Grande Centro.
Si tratta quindi dello svuotamento del
Parlamento
e del conferimento al Governo di tutto il potere, sulla base di un
principio
sostanzialmente autoritario. E'
stata al momento tralasciata
la proposta dell'elezione diretta del capo del Governo o del Presidente
della Repubblica, che porrebbe di fatto l'uno o l'altro al di sopra del
Parlamento e del Governo medesimo, con un ulteriore rafforzamento della
componente autoritaria nelle istituzioni. Ma l'indicazione del nome del
premier collegata alla coalizione di partiti è perfettamente in
linea con quanto dicevamo.
Il recente dibattito a proposito della legge sulla fecondazione assistita ci ha mostrato come il potere legislativo non possa appiattirsi sulle questioni di governo. Legiferare vuol dire prendere posizione su questioni che riguardano la vita delle persone, ed il principio democratico richiede che il Parlamento rappresenti per quanto possibile l'opinione degli elettori sugli argomenti che dibatte. Un sistema maggioritario fa sì, invece, che la maggioranza degli elettori voti candidati di cui condivide ben poco le opinioni, in base alla logica bipolare. I candidati, infatti, sono nominati dall'alto, e l'elettore ha solo due scelte effettive (i candidati dei due poli), dato che nessuno degli altri ha reali possibilità di essere eletto. Se nessuno dei due rappresenta le sue convinzioni ed i suoi interessi, può anche non andare a votare. E così sta facendo e farà ancor più in futuro.
Il sistema proporzionale, invece,
consente
che vi sia una maggiore coerenza fra le formazioni politiche e le
opinioni
e gli interessi economici e sociali presenti nella società
civile. Favorisce, insomma, la rappresentatività.
Pensiamo poi alle regole stesse che stanno alla base delle
istituzioni: un meccanismo elettorale inventato pe dare
stabilità ai governi ha reso possibili ampie maggioranze
parlamentari in assenza di un equivalente consenso - col risultato che
la maggioranza può cambiare addirittura la Costituzione
nonostante il rifiuto di una parte consistente, forse maggioritaria nel
Paese, del sistema politico.
Si può obiettare che altrove (ad esempio in Inghilterra) il
sistema
maggioritario non sembra dare cattivi risultati. Ma il paragone non
regge,
in quanto la società civile e la classe politica del Regno Unito
hanno una storia del tutto diversa. Tanto per cominciare, dal tempo di
Enrico VIII (quasi cinque secoli fa) l'Inghilterra si è
sottratta
all'autorità della Chiesa Cattolica. Sicuramente una lunga
tradizione di partecipazione sempre più ampia del popolo alla
politica ed un senso dello Stato formatosi nel corso di secoli di
storia nazionale danno alla democrazia in Gran Bretagna una base ben
diversa. L'Italia ha poco più di un secolo di unità ed
una tradizione democratica di poco più vecchia, per di
più con il tragico intervallo della dittatura fascista. E
comunque non si può certo dire che oggi nel Regno Unito le cose
vadano bene: un certo Tony Blair resta al governo col 21% del consenso
popolare (quasi quattro aventi diritto su cinque non hanno votato per
lui)... Con quel tipo di sistema elettorale l'Italia, con le sue scarse
tradizioni e la mancanza di senso civico dei cittadini, rischierebbe di
perdere la democrazia del tutto.
In Italia, più che altrove, è essenziale che
le diverse componenti della
società civile e le diverse convinzioni dei cittadini siano ben
rappresentate
in parlamento, e soltanto un sistema elettorale proporzionale lo
può
garantire.
Per definire una legge qualsiasi, ed a maggior ragione una legge fondamentale come la legge elettorale, occorre prima di tutto ricercare la semplicità. Le complicazioni, contenute nelle proposte che oggi circolano nel mondo politico, sono dovute unicamente al tentativo delle diverse parti politiche di fabbricarsi una legge su misura per le proprie esigenze, che garantisca a ciascuno dei proponenti il massimo (ipotetico) vantaggio sulla base del meccanismo della legge, aggirando quindi la volontà popolare. Non c'è miglior modo di dirci che dell'opinione degli elettori a certi politici non importa assolutamente nulla.
Una legge semplice, proporzionale, ma che non favorisca la frammentazione dei partiti non si deve inventare. Si tratta della proporzionale con sbarramento. L'aggregazione è favorita da tale legge più che dall'uninominale, in quanto un candidato deve far parte di una lista proporzionale che abbia la possibilità di superare lo sbarramento; nello stesso tempo si evitano alleanze innaturali destinate a dissolversi di fronte ai primi problemi seri. Se però la si inquina con il premio di maggioranza, come si sta proponendo oggi, allora l'argomento è vanificato, e si ottiene soltanto una presa in giro.
Non si tratta della soluzione migliore in
assoluto,
ma secondo me è l'unica che consenta di superare il problema
principale
della politica italiana di oggi: non la mancanza di
governabilità,
ma l'incapacità della classe politica di rappresentare
veramente la società civile.
Alberto Cavallo, 28 febbraio 1999 - aggiornato il 2 ottobre 2005 e poi il 1° novembre 2005