Il velo sulla realtà


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4 novembre 2001

Indice

Alla pagina indice sulla politica internazionale
 

Informazione zero

La principale caratteristica della campagna bellica che inglesi ed americani stanno conducendo in Afghanistan è la totale mancanza di informazioni significative sugli eventi bellici. Stiamo forse assistendo ad un'ulteriore evoluzione della politica censoria, cominciata con la Guerra del Golfo e proseguita con le guerre in Jugoslavia?

Per comprendere l'origine di questa politica si deve risalire alla guerra del Vietnam. L'establishment politico e militare americano è convinto che quella guerra sia stata perduta sul fronte dell'informazione: le immagini ed i resoconti dei giornalisti sugli eventi bellici mostrarono a tutto il mondo, ed in primo luogo alla stessa opinione pubblica americana, gli orrori della guerra ed i misfatti degli stessi militari americani.

A partire dalla guerra del Golfo, il Pentagono adottò un nuovo metodo. I corrispondenti di guerra erano quotidianamente informati sull'andamento delle operazioni in confernze stampa accuratamente organizzate; le televisioni ricevevano filmati accuratamente selezionati e montati, per mostrare ciò che le forze armate ed il governo desideravano fosse visto. Questo procedimento era giustificato con la necessità di non svelare al nemico informazioni di valore bellico.

Peccato che l'iniziativa bellica in Vietnam non sia fallita per le informazioni di valore bellico acquisite dai Vietcong, ma per le informazioni di valore civile e morale ricevute dal pubblico americano. E' perfettamente possibile tenere nascoste le informazioni più delicate, attraverso la censura e perfino la disinformazione, senza impedire che la realtà della guerra come fatto sia nota ai propri cittadini: questo accadde nella Seconda Guerra Mondiale. Questo tipo di informazione è indispensabile, in democrazia, perché i cittadini, che per costituzione sono sovrani, devono avere conoscenza degli avvenimenti. Soltanto in questo modo può avvenire il controllo di quanto realmente avviene, e l'opinione pubblica può formarsi inmodo corretto.

Ma i politici preferiscono trattare i propri elettori come minorenni perpetui, nascondendo loro la realtà perché non si spaventino e non abbiano reazioni esagerate. Certo, ai potenti piace considerare la gente come una massa di immaturi, ai quali propinare soltanto notizie edulcorate, per tenerli al loro posto ed indurli a votare bene alle prossime elezioni. Certo, se il popolo sovrano fosse informato, sarebbe più difficile condurre le guerre a proprio piacimento.

Al di là di queste considerazioni sulle motivazioni di tale modo di agire, il metodo dell'informazione preconfezionata è stato applicato con continuità durante la Guerra del Golfo e durante la Guerra del Kosovo. Non mancavano mai filmati di bombe e missili intelligenti che colpivano il bersaglio con precisione micrometrica, statistiche sulle missioni svolte e sui bersagli colpiti, qualche volta sentite scuse per errori di mira che casualmente avevano portato a stragi di civili (solo dopo che fosse risultato impossibile nascondere l'errore) o magari alla distruzione di un'ambasciata neutrale (vedi ambasciata cinese di Belgrado).

Oggi colpisce la mancanza totale di quasiasi informazione concreta sulle operazioni in corso in Afghanistan. Soltanto il governo talebano di Kabul ci fornisce notizie con un minimo di sostanza, naturalmente elaborate pro domo sua. E' quindi difficilissimo fare commenti sugli eventi, non avendo una cronaca da commentare, se non brandelli di notizie di attendibilità totalmente incerta. Ieri (3 novembre 2001) si è parlato di un'intera provincia forse presa dall'Alleanza del Nord e poi forse riconquistata dai talebani. Secondo questi ultimi, due elicotteri americani sono stati abbattuti, gli americani dicono che solo uno è caduto, ma per il maltempo, e senza vittime. Ci aggrappiamo a questi frammenti di informazione, da cui non si può trarre alcunché di concreto. Nel frattempo bin Laden invia un altro dei suoi messaggi forse deliranti o forse in codice - noi italiani ci preoccupiamo perché ci cita esplicitamente tra i suoi nemici, per la prima volta.

Intanto spore di carbonchio vanno in giro per gli Stati Uniti ed ora anche in Europa, tramite il servizio postale. Non è chiaro chi le spedisce, se al-Qaida o qualche gruppo di neonazisti americani. Quattro morti di carbonchio occupano sui media lo stesso spazio dei seimila (o quanti sono) delle Torri Gemelle.

Possiamo solo fare considerazioni vaghe ed ipotesi generali. Non rinunciamo però a ragionare sui fatti. Poi cercheremo di capire che cosa accade sul campo.

Alberto Cavallo, 4 novembre 2001

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Chi è il nemico?

Cerchiamo di ricapitolare. Il nemico ha un volto pubblico, quello del miliardario saudita Osama bin Laden e dei suoi più stretti collaboratori, che compaiono al suo fianco nei filmati da loro inviati alla televisione del Qatar, al-Jazira. Tra i suoi accoliti sembra avere particolare rilievo il medico egiziano Ayman al-Zawahiri, coinvolto in numerosi atti di terrorismo e già condannato a morte nel suo Paese. La sua importanza si deduce dal fatto che prende la parola per pronunciare appelli alla guerra santa, sebbene più concisi dei discorsi programmatici del suo capo.

Chi rappresentano? Sappiamo che il loro legame con i taliban afghani (che poi più che afghani sono pakistani) è strettissimo. La loro storia di estremisti islamici, o più semplicemente islamisti come gli esperti ci insegnano a chiamarli, differenziandoli dai mussulmani o islamici, è ormai comparsa su tutti i giornali, con tutti gli agghiaccianti particolari di come gli Stati Uniti d'America, direttamente e tramite il Pakistan, con l'appoggio organizzativo e finanziario dell'Arabia Saudita, abbiano letteralmente costruito un movimento islamista allo scopo di scacciare i sovietici dall'Afghanistan. L'articolo di Ahmed Rashid (1) sull'ultimo quaderno speciale di Limes racconta come sia stata creata una specie di brigata internazionale islamica, formata da estremisti di tutte le provenienze, formando il nucleo di un islamismo militarmente organizzato e ben addestrato ed armato. Convenzionalmente sono chiamati gli afghani-arabi, anche se di afghano hanno soltanto l'ubicazione geografica delle loro basi e molti non sono nemmeno arabi, ma provengono da altri Paesi islamici. La miopia politica degli americani ai tempi del conflitto tra afghani e sovietici fu tanto grande da essere quasi incredibile: i servizi segreti USA cementarono un'alleanza di islamisti, che servì a sconfiggere i sovietici in Afghanistan, senza prevedere che, vista la loro matrice ideologica, avrebbero avuto come loro nemico d'elezione l'America stessa, una volta terminato il conflitto con i sovietici,.

Ma questa potente organizzazione terroristica è sostanzialmente soltanto il braccio operativo. Chi li comanda realmente? E' difficile credere che bin Laden sia l'unico responsabile. E' sconvolgente che ci troviamo di fronte ad una situazione che sembra tratta pari pari dai film di James Bond - agente 007: un miliardario pazzo vuole conquistare o distruggere il mondo, tramite un'organizzazione segreta, e si manifesta da rifugi inaccessibili con videocassette di minaccia, mentre fa crollare grattacieli e diffonde microrganismi nocivi. La principale differenza è che nei film James Bond sconfigge regolarmente il pazzo agendo quasi da solo, senza mandare l'aviazione a bombardare a tappeto un Paese...

Esplicitiamo le ipotesi:

  1. Bin Laden e la sua al-Qaida sono pazzi fanatici nemici dell'occidente, posseduti da un perverso desiderio di predomino e distruzione, così come Saddam Hussein in Iraq - devono essere puniti e possibilmente eliminati;
  2. Bin Laden ed i suoi sono veramente un'organizzazione di fanatici, ma creata dalla CIA e dall'ISI (servizio segreto pakistano) in funzione antisovietica e sfuggita al controllo, eliminati i quali il problema è risolto;
  3. Al-Qaida è il braccio, anzi uno dei bracci operativi, di un'organizzazione più vasta, che comprende anche governi di Paesi arabi o comunque ambienti di potere di quei Paesi, che hanno sfruttato l'occasione fornita loro dalla CIA per creare una forza paramilitare efficiente da contrapporre allo strapotere occidentale;
  4. Il terrorismo è la risposta del mondo islamico oppresso dall'Occidente, che si serve dei mezzi messi a sua disposizione stupidamente dall'occidente stesso per colpirlo - per risolvere la situazione occorre restaurare l'equità nei rapporti internazionali, il terrorismo scomparirà da sé;
  5. E' tutto un complotto, al-Qaida, che i suoi membri lo sappiano o no, è ancora manovrata dalla CIA - lo scopo è quello ridurre le libertà civili in Occidente sbandierando la lotta al terrorismo;
  6. E' tutto un complotto della CIA e/o del Mossad israeliano, lo scopo è quello di dare mano libera ad Israele in Palestina e di eliminare i governi di Paesi mussulmani non filooccidentali, come quello dell'Afghanistan ma anche altri, a partire dall'Iraq.
La prima tesi è quella pubblica del governo americano (tesi per l'americano medio). Chiaramente non è vera, perché la seconda, almeno nelle premesse, è accertata. La seconda, presa complessivamente, si potrebbe chiamare tesi di 007. Ha il vantaggio di non introdurre elementi incerti e non suffragati da prove. La terza introduce il concetto che vi siano ambienti di potere alle spalle di al-Qaida, di estrazione comunque islamista, probabilmente saudita (congiura islamista allargata). La quarta è la tesi degli antiglobalisti di sinistra (tesi moralistica), la quinta quella dei complottisti di destra, specialmente americani (tesi del complotto). La sesta è la tesi diffusa tra l'opinione pubblica dei Paesi islamici, dove è diffusa la credenza, ad esempio, che non vi sono stati ebrei fra le vittime degli attentati, perché tutti sono stati avvertiti prima con telefonate misteriose (evidentemente del Mossad - tesi complottistica islamista).

La tesi che preferisco è la terza, come ho già scritto.

La tesi dell'americano medio, come abbiamo visto, non si può considerare seriamente.

La tesi alla 007 è attraente e fondata su fatti noti, ma non spiega le motivazioni ed i piani dei terroristi: non possiamo credere che organizzino il terrore per pura malvagità, e che riescano a gestire un'organizzazione così complessa e capillare senza appoggi significativi.

La tesi moralistica è svincolata dai fatti: i torti del mondo sviluppato dell'Occidente nei confronti degli islamici ed in generale di chi non fa parte del Primo mondo sono reali, ma un movimento terroristico di così grande levatura non nasce spontaneamente per raddrizzare i torti, novello Robin Hood. E' certo che bin Laden si serve abilmente della frustrazione delle masse islamiche ai propri fini, ma si tratta di un'evidente strumentalizzazione. L'eventuale compensazione delle ingiustizie commesse dall'Occidente nei confronti del mondo islamico non fermerebbe il terrorismo, perché un'organizzazione potente e capillare cercherà sempre di conservarsi, inventando nuove cause al cessare delle vecchie. I professionisti del terrore, una volta entrati in azione, tendono a perpetuare la propria esistenza con ogni mezzo. Pensiamo all'ETA basca: conduce una guerra del terrore totalmente insensata, priva di consenso realem di motivazioni e di scopi, basti pensare all'autonomia ed al grado elevatissimo di autogoverno che la Spagna ha concesso agli stessi Paesi baschi. La Spagna di oggi accetta senza difficoltà che le minoranze mantengano lingua, cultura e tradizioni, i baschi non hanno alcun motivo reale di ribellione. Questo non significa che non si debba porre rimedio a ingiustizie e disuguaglianze, ci mancherebbe, ma che la tesi non spiega nulla e non comporta neppure, come vorrebbero i suoi sostenitori, che si possa evitare il ricorso alla forza contro al-Qaida.

La tesi del complotto esprime le tendenze paranoiche di certi esponenti della destra americana. Come tutte le tesi complottistiche si autosostiene, perché la mancanza di prove sia a favore sia contro può essere giustificata con la pervasività del complotto. Si può soltanto dire che di fronte all'enormità degli eventi dell'11 settembre vale i principio generale, figlio del rasoio di Occam, che una tesi eccezionale richiede prove eccezionali a suo favore. A chi sostiene questa tesi si deve dire: dateci le prove, perché le affermazioni che fate sono troppo gravi. Per quanto si tratti di una tesi estrema, comunque, ha più sostenitori di quanto sarebbe normalmente lecito pensare.

La tesi complottistica in versione islamista è ancora più estrema; rispetto alla precedente è ancor meno credibile, per motivi analoghi portati ancor più all'eccesso.

La tesi della congiura islamista allargata mi sembra attendibile, anche se difficile da provare. Sembra quasi ovvio che bin Laden abbia appoggi significativi presso personaggi potenti, principalmente nel suo Paese d'origine, l'Arabia Saudita. L'interesse di questi personaggi può benissimo essere quello dichiarato: allontanare americani e loro alleati dall'Arabia e affermarsi come leader di tutto il mondo islamico. Un eventuale candiadato al trono saudita di pura osservanza wahhabita e antioccidentale, e non si può escludere che sia il principe ereditario stesso, potrebbe utilizzare bin Laden ai suoi scopi, riservandosi di scaricarlo in qualsiasi momento, come si fa regolarmente con agenti segreti e altri complici loschi, da parte dei potenti.

E' certo comunque che assistiamo ad un'offensiva di tipo completamente nuovo, scatenata da un'entità che non è uno Stato ma ne assume alcune prerogative, come quella di muovere guerra. Questa entità conosce bene i meccanismi del mondo occidentale: prima colpisce con un atto spettacolare, da film hollywoodiano del genere catastrofico; poi comincia un'offensiva subdola con mezzi batteriologici, la campagna del carbonchio. Con queste sole due azioni causa una grave crisi economica negli USA (si parla già di oltre 400.000 posti di lavoro perduti), e tra l'alto ne approfitta per speculare in borsa e procurarsi nuovi capitali. Manovra negli ambienti della finanza internazionale, nascondendo i suoi ingenti capitali in labirinti di società e transazioni, sfruttando l'impotenza dei coverni a controllare i flussi di capitali e l'attività finanziaria in genere. Personaggi potenti, spietati, buoni conoscitori del mondo occidentale in tutti i suoi risvolti ...

Sembra davvero la nemesi dell'Occidente globalizzato: prima il mondo del cinema spettacolare trasformato in realtà, poi la diffusione del panico con attentati batteriologici in sé insignificanti, che sfruttano però magistralmente la tendenza all'iperbole ed alla spettacolarizzazione dei media. Ed i mezzi economici necessari sono accumulati e gestiti sfruttando la liberalizzazione globale dei mercati finanziari. E l'America colpita ripetutamente al cuore: nelle sue certezze di invulnerabilità, nella sua normalità quotidiana del consumismo, nella sua struttura economica.

I governi reagiscono con mezzi da secolo scorso: bombardiamo il nemico! Ma il nemico si nasconde (se è vero, siamo certi che bin Laden non abiti in una villa di Los Angeles?) in un Paese disastrato, privo di infrastrutture, già ridotto alla fame ed alla disperazione. Un Paese dove non c'è nulla da bombardare. Non c'è dunque da meravigliarsi che non vi siano notizie da fornire, filmati di mirabolanti centri dei missili. Un velo è calato sulla realtà, più spesso del burqa afghano.

Melville fa dire al capitano Achab che in un mondo di maschere possiamo soltanto colpire la maschera, non avendo accesso a chi sta dietro. La caccia a bin Laden come la caccia a Moby Dick? L'America imperiale affonderà come il Pequod? Cerchiamo di tenere i piedi in terra e di ragionare, comunque.

Alberto Cavallo, 4 novembre 2001

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L'intervento in corso: bombe, sempre bombe

Prima di parlare di quel poco che si capisce dei fatti militari in Afghanistan, è bene chiarire che l'intervento militare occorreva. La guerra era ancora in corso, tra governo dei taliban e alleanza del nord. Il governo di Kabul è esecrabile sotto ogni punto di vista e non ha nemmeno legittimazione da parte della comunità internazionale; è assolutamente chiaro che forniva basi ed assistenza ai terroristi ed aveva fatto dell'Afghanistan un comodo retroterra dell'islamismo militante del mondo intero. L'azione angloamericana è legittima e comprensibile.

Ma come viene condotta la campagna bellica?

Fin dall'inizio si è detto, da parte dei massimi esponenti del governo americano, che con i soli bombardamenti non si può ottenere il risultato cercato: catturare bin Laden ed abbattere il regime amico del terrorismo. A parole, una svolta significativa rispetto alle tattiche impiegate contro la Jugoslavia, dove non è esistita una campagna di terra.

Dagli attuali sviluppi si deduce però una situazione inquietante. E' evidente, prima di tutto, che gli angloamericani vorrebbero affidare all'opposizione afghana il compito di fornire le truppe a terra. Un'opzione che salvaguarda da un lato il carattere della guerra "contro i taliban ma non contro il popolo afghano", dall'altro i soldati americani che correrebbero gravi rischi in combattimenti corpo a corpo, come quelli che saranno necessari. Ma gli angloamericani non si fidano dell'alleanza del nord, soprattutto perché è invisa al Pakistan ed è formata solo dalle etnie non pashtun, quindi può dar modo ai taliban di presentarsi come difensori di tutti i pashtun. Cercano quindi di suscitare una ribellione tra i pashtun nel sud dell'Afghanistan, mentre centellinano l'appoggio ai guerriglieri del nord, che invece sono abbondantemente sostenuti e riforniti dalla Russia.

Le famose forze speciali USA hanno compiuto alcune incursioni, è vero, ma non sembra che abbiano avuto molto successo. Ne sappiamo poco, ma il fatto che le azioni non si siano ripetute e che circolino voci su fallimenti clamorosi non è trascurabile. Sembra che in almeno un caso sia stata compiuta un'azione massiccia contro una base deserta (presumibilmente a quest'azione si riferiscono le immagini verdoline da intensificatore d'immagine trasmesse in TV giorni fa), mentre almeno un'altra incursione ha effettivamente trovato il nemico, le forze speciali arabo-afghane di bin Laden, ed è stata respinta disastrosamente. Le scarse perdite subite dagli americani nella seconda occasione, se veramente sono state scarse, sono probabilmente dovute alla rapidità di fuga dei mitici corpi speciali, che nel portare a casa la pelle non sono stati secondi a nessuno. In questo caso l'espressione "portare a casa la pelle" è letterale, perché pare che gli afghani usino scuoiare vivi alcuni prigionieri per dare un esempio a tutti gli altri.

Restano i bombardamenti. Ma l'Afghanistan è già un cumulo di macerie.

La Jugoslavia fu sconfitta senza toccare le sue forze armate, rendendo invece impossibile la vita alla popolazione attraverso la distruzione di ponti, ferrovie, impianti elettrici, acquedotti e le industrie civili. L'esercito serbo si ritirò dal Kosovo senza aver subito perdite, perché il governo si arrese per salvaguardare la vita dei cittadini. L'Afghanistan non ha ferrovie, ha poche strade, la maggior parte della popolazione non ha mai avuto l'energia elettrica e tanto meno l'ha ora, acquedotti non ce ne sono quasi, industrie nemmeno, si vive di una misera agricoltura, quando si vive, e l'unica risorsa economica importante è la produzione dell'oppio.

La Jugoslavia è stata sconfitta colpendo la popolazione civile fino a costringere il governo alla resa. Trattandosi di un Paese relativamente evoluto, non è stato necessario causare molti morti ("solo" 1500-2000), è bastato colpire le infrastrutture. Cercare la resa dell'Afghanistan con la tattica usata in Jugoslavia vuol dire uccidere milioni di persone, perché la popolazione afghana è al limite della sopravvivenza, anzi al di sotto, ed un'azione tanto intensa e prolungata da poter condurre alla resa del loro governo comporterebbe non l'abbattimento del tenore di vita ma la morte, pura e semplice, delle persone.

Se l'intenzione degli americani è quella di sconfiggere i taliban con la tattica usata in Jugoslavia, la loro azione sarà dunque tanto crudele e vile quanto inefficace. Questa volta non c'è di fronte a loro Milosevic, ma bin Laden e il mullah Omar: uomini pronti a sacrificare l'intera popolazione dell'Afghanistan come hanno sacrificato le vite degli attentatori l'11 settembre. Essi fanno conto presumibilmente che lo spettacolo degli afghani che muoiono per le bombe e poi ancor più per la fame ed il freddo finirà per scatenare comunque una reazione generalizzata del mondo islamico, tale da far crollare i regimi dei Paesi islamici alleati degli USA. Non si tratta di un'ipotesi peregrina.
 

Alberto Cavallo, 4 novembre 2001

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Prospettive fosche

La situazione attuale non promette nulla di buono. Sembra che i tentativi di formare un fronte afghano unito antitalebano non abbiano avuto finora gran successo; intanto i taliban resistono bene, hanno catturato e ucciso Abdul Haq e altri oppositori, il loro fronte resiste agli assalti dell'alleanza del nord. Le forze speciali, come abbiamo visto, non hanno ottenuto alcunché di significativo.

I bombardamenti non sembrano aver indebolito granché l'apparato militare dei taliban, come del resto era ovvio fin dall'inizio. In Kosovo l'armata serba subì pochissimi danni in mesi di bombardamenti; il terreno dell'Afghanistan e le caratteristiche delle forze taliban rendono ancor più difficile l'azione della forza aerea. L'unico modo per ottenere successi contro l'esercito di Kabul richiede azioni a bassa quota con elicotteri ed aerei d'assalto. Ma queste azioni esporrebbero velivoli e piloti a perdite significative, come ben sanno i russi. I taliban sono ben muniti di cannoncini antiarei e missili agli infrarossi lanciabili da un solo uomo, come gli Stinger forniti loro in passato dagli stessi americani. L'azione contro la difesa aerea condotta finora ha colpito pochi radar e postazioni di missili a lungo raggio, ma non può aver ottenuto nulla contro la contraerea leggera e gli Stinger.

Le forze speciali americane non sono in grado di condurre azioni efficaci, perché la loro principale preoccupazione sta nel tenere aperta la via di fuga. Qui si tratta di combattere nelle gole e negli anfratti, inseguire il nemico per giorni e settimane, combattere corpo a corpo con uomini fanatici, pronti a morire e perfetti conoscitori del terreno. I commandos americani non si muovono se non c'è un elicottero pronto a raccoglierli in pochi minuti per portarli in salvo. E' chiaro che non hanno speranza di successo, se non in azioni prive di significato, come incursioni su aeroporti abbandonati.

Occorre sottolineare che il militare americano medio è un membro di qualche minoranza etnica (afroamericano o latino), che ha scelto la vita militare per mancanza di prospettive. I reparti scelti sono certo superiori alla media e più motivati, ma sono comunque formati da professionisti ben pagati che hanno come primo interesse tornarsene a casa interi per godersi lo stipendio. I loro avversari sono invece giovani indottrinati e fanatici, convinti di agire in nome di Dio; non hanno una casa a cui tornare, soltanto una realtà di miseria e desolazione, secondo loro (e con qualche buona ragione) causata dagli americani stessi. Allora si può capire perché gli americani preferiscono bombardare da 7.000 metri di quota.

Ora gli americani hanno ottenuto l'invio di istruttori turchi presso l'alleanza del nord. Questo collima perfettamente col resto del discorso: non c'è intenzione da parte americana di impegnarsi seriamente sul terreno.

Si sta creando, intanto, un groviglio geopolitico impressionante. I taliban sono stati creati essenzialmente dal Pakistan, ora costretto ad essere loro nemico. Ma godono di ampi appoggi tra la popolazione e le forze armate pakistane. Il dittatore, generale Musharraf, corre rischi gravissimi, preso nella morsa tra l'alleato americano ed i nemici interni, suoi ex amici, e si dibatte cercando di salvarsi: pretende comunque che i taliban moderati (entità misteriosa, di prossima creazione da parte dell'ISI si può supporre) facciano parte di un futuro governo afghano. La Russia mira a ristabilire la sua influenza sull'Asia centrale e ad abbattere i taliban, fonte di pericolo per tutta la regione come ispiratori della rivolta islamista. La Turchia ha proprie mire su tutta l'area turcofona della regione, oltre ad essere presente come alleato dell'America. L'America stessa può pensare di creare una propria presenza militare permanente in Afghanistan e in Uzbekistan. L'Iran non ha una posizione ben definita, ma è certamente nemico acerrimo dei taliban e simultaneamente nemico tradizionale per l'America. Si sta per intanto avvicinando alla Russia, che lo rifornisce di armi. E non mi addentro nella situazione del Kashmir ed in quella dei vari stati ex sovietici. Che cosa ne possa scaturire nessuno può prevederlo.

Si può star certi, comunque, che se la guerra si prolungherà per molto tempo gli sviluppi saranno tragici, come abbiamo accennato prima:

Non è possibile escludere una totale sconfitta degli americani, consistente nel loro ritiro dall'area dopo gravi perdite da parte loro e soprattutto, naturalmente, dei loro alleati del momento. Sarebbe una tragedia per il mondo intero, perché nessuno sarebbe più al sicuro: la dimostrazione dell'efficacia della nuova metodologia di guerra usata dal nemico misterioso che si presenta col volto di bin Laden porterà al dilagare dei conflitti di nuova specie. E saremo tutti, proprio tutti sulla linea del fronte.

Occorre dunque un'azione militare coraggiosa e pericolosa, condotta sul terreno. Costerà morti, perché la guerra richiede che si muoia ma, sebbene sia tragico comunque, se qualcuno deve morire è giusto che siano i combattenti, non i civili! Soltanto il coraggio, la dignità, lo spirito di sacrificio possono in qualche modo riscattare l'orrore della guerra. Ma la protezione dei non combattenti è un dovere assoluto per tutti.

La tattica vile dei bombardamenti d'alta quota, inefficace contro le forze militari e micidiale per la popolazione, deve dunque essere sostituita da un'autentica azione di guerra. L'America ha già avuto migliaia di morti, dovrà avere il coraggio morale di rischiare qualche altra vita americana per combattere una guerra tragicamente necessaria. Non si può davvero, del resto, lasciare la guerra in mano agli oppositori afghani dell'alleanza del nord, che non danno alcuna garanzia di essere migliori dei taliban. Ed occorrerà costruire un nuovo Afghanistan, dove vi sia posto per tutti. Occorrerà un immenso lavoro soltanto per assicurare la sopravvivenza dei profughi ed il loro rientro in condizioni umanamente accettabili. L'America è alla prova: deve dimostrare di non essere una potenza imperiale oppressiva ma di poter tornare ad essere l'America del 1941-45, la nazione che liberò il mondo dal nazifascismo. E la NATO tutta intera deve fare la sua parte, fornendo l'appoggio che sarà richiesto.

Se sarà possibile restituire l'Afghanistan ad una vita umanamente vivibile, allora forse non si sarà sconfitto completamente il nemico terrorista, ma si sarà ottenuto molto e si sarà prodotto quel rafforzamento morale dell'Occidente che gli darà la forza di portare a termine la lotta e costruire la pace. In caso contrario ci attende un'epoca assai buia.

Alberto Cavallo, 4 novembre 2001

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Note

(1) Ahmed Rashid, "Bin Laden , i taliban e gli americani: storia di un triangolo", Quaderno speciale di Limes - "Nel mondo di bin Laden", supplemento al n. 4/2001.
 
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